La Campania è una regione cruciale dell’enogastronomia italiana: non solo perché il “menu italiano” registra i suoi alimenti base nella cucina, ma anche per la Michelin, l’unica guida davvero in grado di incedere sul mercato dei clienti e sull’umore dei cuochi. E’ infatti terza regione per numero di stelle, ma di gran lunga la prima per numero di stelle attribuiti agli chef campani che lavorano in regione e fuori regione.
La forte tradizione, le due grandi ondate di rivoluzione avvenute in questi utimi 20 anni (la prima del Don Alfonso, la seconda del trio Gennaro Esposito, Nino Di Costanzo e Francesco Sposito) sembravano aver incorniciato il quadro gastronomico regionale in maniera definitiva.
Invece no, arriva adesso la terza ondata, quella dei giovani che dopo lunghi e tirocini (non solo apparizioni da sbucciapatate o copiatori di piatti) sono tornati in Campania per lavorare.
Certo, il tono acerbo si vede: hanno assolutamente una straordinaria padronanza tecnica rispetto alle generazioni che li hanno preceduti, ma hanno bisogno anche di appropriarsi della visione umanistica di questo lavoro che in Italia e soprattutto al Sud vuol dire “mangiare con gioia”, “avere sempre la pasta secca come riferimento clou del pasto”, “condivisione” e “territorio”.
Ma andare da loro significa fare delle esperienze nuove di altissimo livello. Ragazzi che sono stati veramente a lungo in giro per il Mondo: anni e anni, hanno una preparazione base vera e soprattutto basi familiari solide che consentono loro di crescere nei luoghi dove lavorano.
Maicol Izzo a Piazzetta Milù, da sempre uno dei nostri posti preferiti, dopo aver fatto molta esperienza (soprattutto da Tickets da Adrià) è rientrato da un anno e ha confermato la stella al locale.
Luciano Pignataro WineBlog