CORRIERE DELLA SERA del 10-06-21
inserto del mezzogiorno pag.13
In controtendenza. Mentre tanti suoi colleghi si sono affrettati a riaprire non appena le restrizioni si sono allentate, Maicol Izzo, chef e comproprietario, con i genitori e i fratelli, di Piazzetta Milù (stella Michelin a Castellammare di Stabia) ha deciso di tener fede al proposito di effettuare un’esperienza formativa al Noma di Copenaghen, secondo la classifica di The World’s 50 Best restaurant, per ben 4 volte, il migliore ristorante del mondo.
Come mai questa scelta?
«È stata presa quando ancora non c’era la prospettiva della riapertura. Poi le cose sono cambiate, ma è stata una fortuna: entrare nel team del Noma è un’occasione che capita una volta nella vita».
Quale interesse ha suscitato la cucina di un Paese del Nord in uno chef mediterraneo, erede di un patrimonio culturale millenario?
«Mi sento mediterraneo nel sangue. Ma ho sempre pensato che, un giorno, per arricchire la mia formazione, avrei dovuto provare un’esperienza in uno dei ristoranti simbolo della cucina nordica. Comprendere diverse culture gastronomiche, credo sia la linfa della creatività di uno chef, la cucina nordica offre tantissimi spunti interessanti, me ne sto accorgendo ogni giorno di più. Certo, la mia anima è mediterranea e tale resta».
Che ruolo sta ricoprendo all’interno della brigata del Noma?
«Sono in produzione e durante il servizio in partita su alcuni piatti del menu. Anche se, come in tutte le mie esperienze passate, ho voluto iniziare dal basso, da stagista, per provare a capire bene lo spirito del gruppo di lavoro».
Quanto spazio c’è per l’improvvisazione in una cucina fortemente tecnica e concettuale?
«Tecnica e pensiero camminano di pari passo con l’organizzazione. Quest’ultima è nemica dell’improvvisazione. Tutto si regge sull’organizzazione del lavoro dell’intera giornata, per inventare piatti a volte non bastano mesi».
Si ha percezione del valore del principio del chilometro (o miglio) zero? «Assolutamente sì, ma diversamente da come lo si intende normalmente: qui il km zero è un concetto nel quale si entra con spirito e corpo. Non riguarda solo le materie prime, che possono arrivare dalla Danimarca o anche da luoghi del nord Europa o del Sud America, ma sopratutto la spirito concettuale del menu, che porta ogni commensale a entrare nel mondo nordico di un’esperienza gastronomica unica e non ripetibile altrove».
Quali elementi di innovazione porterà nella cucina di Piazzetta Milù?
«Sto apprendendo nuove tecniche e procedimenti che mi stanno ispirando molto: marinature, fermentazioni, abbinamenti. Ma la cosa che più vorrei riprodurre poi a Piazzetta Milú è proprio quello spirito di cui parlavo prima, e fonderlo con la creatività del menu».
Muffe, fermentazioni, tanta verdura, ortaggi, anche qualche larva d’insetto. Come spiega il successo di questo tipo di cucina?
«È l’evoluzione culinaria che corre senza mai fermarsi: è ormai riconosciuto che muffe e fermentazioni, se ben gestite, possono migliorare l’impronta organolettica di alcuni alimenti (che se ci si riflette, sono tecniche già usate per molti cibi come formaggi o ortaggi). Le larve di insetto sono alimento ormai sdoganato nelle culture asiatiche o sudamericane».
Lei ha alle spalle esperienze prestigiose, tra le quali quella con Ferran e Albert Adrià. Cosa ha di diverso René Redzepi, il fondatore del Noma?
«In realtà , mi colpisce di più ciò che René Redzepi ha in comune con loro: inventiva, sensibilità, genialità, organizzazione, non a caso lui afferma che la sua vita cambiò quando fece uno stage a El Bulli anni fa. Ed è un tratto comune che ritrovo anche in Mauro Colagreco e Gennaro Esposito, con i quali ho lavorato».
Che idea hanno in Danimarca della cucina italiana?
«La rispettano e la apprezzano tantissimo. Conoscono molti piatti della tradizione e sognano un viaggio in Italia proprio per provare la cucina».
Quanto si spende al Noma?
«Duemilaseicento corone danesi, circa 350 euro, esclusi gli abbinamenti».
Poco prima dello scoppio della pandemia avete varato una proposta basata su lunghi menu bloccati. Continuerete su questa linea?
«Assolutamente si. È stato per noi il punto di svolta per innalzare il livello della proposta. E poi, per me, è stata la conquista della libertà, niente più regole, nessuno schema fisso: non indichiamo il numero di portate né il nome dei piatti o delle materie prime utilizzate, posso quindi decidere se inserire o meno dei piatti in base anche agli alimenti di cui posso approvvigionarmi».
Quando pensate di riaprire?
«Non appena tornerò in Italia, di sicuro per fine giugno. Per noi è fondamentale che non ci sia coprifuoco e che le disposizioni vigenti possano garantire sicurezza e rilassatezza».
Se lei è il fantasista, il numero dieci, che ruolo assegnerebbe ai suoi fratelli Emanuele e Valerio?
«I miei genitori, Michele e Lucia, ci hanno trasmesso valori ed esperienza per ricoprire i ruoli che abbiamo oggi. I miei fratelli, oltre ad essere titolari, Valerio restaurant manager e Emanuele sommelier) svolgono anche ruoli fuori dal campo».
Lei ha meno di 30 anni. Che traguardi si prefigge?
«Vorrei che un giorno riuscissimo a esprimere a pieno ciò che è la nostra idea di Piazzetta Milú al mondo, dare l’idea non solo di un ristorante, ma di un luogo unico dove è possibile vivere emozioni che possano essere legate alla nostra personalità e quindi non replicabili».
Quale piatto non vede l’ora di mangiare appena rientrato a casa?
«Un buonissimo piatto di pasta o una grande pizza».
Autore: Gimmo Cuomo